LE SPADE GIAPPONESI
Le più antiche sciabole giapponesi, “Ken” o “Tsurugi”, dritte e affilate sui due bordi (la struttura le accomuna alle spade) furono probabilmente importate in Giappone dai “Cavalieri-arceri” venuti dalla penisola coreana a partire dalla fine del III° secolo e di cui sono stati rinvenuti alcuni esemplari nelle tombe megalitiche dette “Kofun”. Le loro lame erano costruite in ferro forgiato, ma di pessima qualità. Probabilmente fu solo a partire dal IX° secolo che i maestri forgiatori giapponesi (la cui professione era considerata così sacra, che essi dovevano essere anche preti Shinto) raffinarono le tecniche di forgia, forse anche dopo esperienze analoghe cinesi e coreane, in modo tale che le lame dell’VIII° secolo, conservate nel museo di Shoso-in a Nara, ne testimoniano la migliore qualità. I fabbri della fine del periodo Heian e di Kamamura (fino al 1333), come quelli del periodo detto Muromachi (1333-1530), arrivarono ad una tale perfezione tecnica di fabbricazione, che non venne più superata nei secoli successivi. Si attribuisce il nome di “Koto” (antiche lame) a quelle sciabole di qualità innegabile. Durante il periodo degli Shogun Ashikaga (1336-1574) la decorazione delle sciabole ebbe una larga diffusione che si protrasse per tutto il periodo Edo, in cui vennero fabbricate le nuove lame dette “Shin-to” di grande qualità ma tuttavia inferiori, a detta degli esperti, a quelle del periodo antico. Dopo la restaurazione dell’era Meiji (1868), si produssero ancora numerose sciabole, destinate non più ai Samurai ma piuttosto agli ufficiali dell’armata imperiale e ai reparti di polizia. Tali sciabole vennero dette “Shin-shin-to” (lame recenti) , la cui qualità venne considerata inferiore alle precedenti. Le spade a lama curva (sciabole) apparvero verso l’VIII° secolo, anche se non esiste alcun documento ufficiale in merito. Da quell’epoca tutte le lame giapponesi furono costruite con quella curvatura e con un solo bordo affilato sul lato convesso. Da allora in poi le sciabole ebbero dimensioni e forme alquanto diverse tra loro, tuttavia è possibile distinguere due tipi fondamentali: il “Tachi”, che si portava appeso alla cintura, piuttosto lungo come dimensioni, era caratterizzato da una marcata curvatura. Dapprima utilizzata in combattimento, questa sciabola venne in seguito utilizzata solo per cerimonie e parate militari. Gli “Yefu-no-tachi” erano sciabole riservate alle guardie del palazzo imperiale e ad alcuni nobili di alto lignaggio (Kuge). I “Shozoku-tachi” facevano parte dell’abito da cerimonia dei nobili della corte imperiale. Alcuni guerrieri di alto rango portavano invece lo “Shirazaya-tachi”, il cui fodero era ricoperto da una pelle di orso. Queste armi piuttosto ingombranti, furono ben presto sostituite con sciabole di minor curvatura “To”, che venivano indossate, a partire dal XIV° secolo infilate nella cintura (Obi). I guerrieri (Bushi) di alto rango (Samurai) si distinguevano dagli altri per il privilegio, accordato al loro lignaggio, di portare due sciabole, una lunga “Daito o Katana” e l’altra più corta “Shoto o Wakizashi”; l’insieme costituito dalle due sciabole era detto “Daisho”. I cavalieri usavano, per combattere rimanendo in sella, delle sciabole molto lunghe dette “O-dachi”. I figli dei Bushi indossavano a loro volta una sciabola, più piccola del normale, chiamata “Mamori-katana” (sciabola di protezione), considerata più come un simbolo di casta che come un’arma effettiva. Tra le armi in dotazione ai Bushi, esistevano anche vari tipi di pugnali, tra i quali occupavano un posto preminente il “Tanto” (lungo circa 31 centimetri) e l’ “Aikuchi”, che strutturalmente somigliava al Tanto ma era privo di guardia (Tsuba). I “Kaiten” erano invece dei coltelli, a volte impreziositi con gemme e decorazioni a smalto, portati dalle donne dei Bushi, che li dissimulavano tra le pieghe del Kimono, per potersi difendere in caso di necessità e che potevano anche servire, in casi estremi, per eseguire il suicidio rituale “Seppuku” tagliandosi la gola. Sciabole e pugnali presentavano sempre un’impugnatura “Tsuka”, e a volte una guardia “Tsuba” e un fodero “Saya” più o meno decorati. I samurai accudivano diligentemente le loro sciabole, che mantenevano sempre perfettamente pulite, evitando con cura di rinfoderare una lama che fosse ancora imbrattata di sangue. Le sciabole antiche sono molto ricercate dai collezionisti e alcune di esse raggiungono prezzi da capogiro. Purtroppo però, esse non si trovano che raramente sul mercato, ma i fabbri giapponesi continuano a fabbricarne per i turisti e gli appassionati di arti marziali. Va da se che queste sciabole non vengono forgiate da specialisti e poco hanno in comune con la qualità eccezionale delle lame delle tradizionali sciabole giapponesi. Queste ultime infatti, vennero esportate in gran numero a partire dall’epoca Kamamura, in tutta l’Asia e più in particolare in Cina e Tailandia, in cui costituirono uno dei prodotti giapponesi più apprezzati. Attualmente, in mancanza di sciabole originali, si collezionano le tsuba, o guardamani decorate. Esse, a volte bellissime e intarsiate in oro e argento, raggiungono valori di stima considerevoli. Esiste tutta una terminologia tecnica concernente sia le forme sia le decorazioni delle Tsuba, nello stesso modo in cui hanno una particolare denominazione le varie parti che costituiscono le lame delle sciabole e tutti gli accessori che le accompagnavano, come i “Kozuka” e i “Kogai” (piccoli coltelli inseriti in appositi alloggiamenti del fodero) e ancora per le differenti parti dell’impugnatura e del fodero delle sciabole. Il fodero (Saya) era a volte provvisto, quando non veniva utilizzato, di un cordoncino di cotone o seta (Sageo), annodato in maniera complessa: Infine, il supporto in legno su cui veniva riposta la sciabola, si chiamava “Katana-kake” e il contenitore in cui si metteva durante il viaggio era detto “Katana-zutsu”. Esiste altresì una terminologia specifica per indicare le varie parti costituenti la sciabola giapponese: fodero (Saya), guardamano (Tsuba), piccole borchie in metallo decorato che servivano a coprire i pioli di legno o bambù (Mekugi) che fissavano il codolo all’impugnatura ecc. Nello stesso modo ogni parte della lama viene descritta da un termine specifico. “Ha” (lato convesso della lama), “Yakiba” (bordo affilato della lama), “Mune” (dorso della lama), “Kissaki “ (punta della lama), “Nakago” (codolo della lama), “Mekugi-ana” (fori per i pioli di legno), “Horimono” (intarsio sulla lama, detto “Bonji” nel caso in cui fossero disegnati caratteri in sanscrito), “Mei” (incisione sul codolo del nome del fabbro), “Same” (rivestimento dell’impugnatura con pelle di pescecane), “Habaki” (tassello di cuoio che fissava la Tsuba alla lama). La forgia delle lame era affidata ad artigiani che erano dei preti Shinto. Essi trasmettevano i segreti delle loro tecniche direttamente di padre in figlio e molti di questi non sono ancora stati scoperti. Generalmente la lama veniva forgiata partendo da una barra di ferro, che veniva ripiegata in due e in cui si inserivano, tra le parti piegate, pezzi di metallo di diversa durezza specifica. L’insieme veniva ripetutamente martellato sino a renderlo omogeneo, e successivamente forgiato per dargli la forma desiderata. La lama, dopo essere stata limata e correttamente bilanciata, veniva resa incandescente e temprata nell’acqua salata, mentre il filo era protetto con un impasto argilloso per sottoporlo, in un secondo tempo, a una particolare tempra differenziata. Come ultima fase di lavorazione, la lama veniva resa lucida e perfettamente levigata da una sapiente pulitura e affilatura, per assumere il suo aspetto definitivo. Il più delle volte occorrevano molti mesi per terminare una lama che, a opera conclusa, assumeva per il Samurai un significato di autentica sacralità. Esistevano molte famiglie di maestri forgiatori, che appartenevano a scuole regionali. Tra i fabbri più abili, forse il più famoso in senso assoluto fu Goro Masamune (1264-1343).
MISURE COMPARATIVE DELLE LAME GIAPPONESI